a cura di Associazione Culturale Zerynthia Ospedale S. Andrea, Roma 2002
Storie d’amore
Storie d’amore è una serie fotografica nella quale sono ritratti i luoghi dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma dove sono nate relazioni sentimentali tra i dipendenti. Ogni immagine è accompagnata da una dedica alla coppia di innamorati. L’artista ha fatto ricorso alla capacità propagatrice del pettegolezzo per innescare un meccanismo in grado di coinvolgere l’intera comunità dell’ospedale. I pettegolezzi che hanno permesso di individuare i luoghi di interesse, infatti, ne hanno scatenato di nuovi: la fotografia dedicata a una coppia ha generato il chiacchiericcio che ha portato a individuarne un’altra, e così via. “Grazie all’imprevedibile propagarsi della notizia dell’opera ho incontrato coppie che hanno offerto la loro collaborazione: ho chiesto loro dove per la prima volta i loro sguardi ‘amorosi’ si sono incontrati e il luogo indicatomi è diventato il soggetto della fotografia.” L’invito rivolto ai dipendenti a ricostruire le narrazioni “gioiose” che sono nate in uno scenario connotato invece da un clima di sofferenza e tribolazione ha fatto in modo che l’opera si autogenerasse: “per attivare il lavoro ho dovuto toccare la sensibilità di chi ‘viveva’ all’interno dell’ospedale, dal direttore agli infermieri, e per questo ho scelto come tema le storie d’amore; sapevo che sarebbe stata una chiave giusta, in grado di coinvolgerli, perché sarebbero diventati protagonisti.” [Barbara Casavecchia e Viktor Misiano, All’aperto. Alberto Garutti, Silvana Editoriale, Milano, 2009] Storie d’amore è un’opera nella quale la teoria genera la prassi che genera nuova teoria. “Il lavoro nasce e costruisce il suo senso su un tessuto connettivo costituito da una fitta rete di informazioni, grazie alla complicità di tante persone. Ma è soprattutto un’opera sul metodo, sul limite sottile e spesso indistinguibile tra arte e realtà della vita. L’incontro tra le persone mette in moto il processo e ne è allo stesso tempo parte integrante; le fotografie sono opere e contemporaneamente strumenti per costruire il telaio invisibile di luoghi e di sguardi che costituisce la vita dell’edificio. Ecco, il lavoro è tutto questo messo insieme e si estende in fondo proprio come il suono della voce, il bisbigliare della gente…” [Hans Ulrich Obrist, “Alberto Garutti”, in Domus #901, marzo 2007, p. 118]