2001 – 2023
Che cosa succede nelle stanze quando le persone se ne vanno?
Nell’opera Che cosa succede nelle stanze quando le persone se ne vanno? alcuni elementi di arredo presenti nello spazio espositivo sono laccati con uno smalto fosforescente in modo che, una volta spente le luci dopo la chiusura dello spazio, essi si illuminino. In questo modo, nel corso degli orari di visita, gli arredi in questione si “mimetizzano” con le altre suppellettili, tanto da non essere riconosciuti come elementi di un intervento artistico, e solo nell’eventuale documentazione fotografica, considerata parte integrante dell’opera, è possibile vederli illuminati.
Alterando la percezione che lo spettatore ha dell’opera – essa può solo essere immaginata –, l’artista da una parte chiede al proprio pubblico di riporre fiducia in essa, dall’altra di sforzarsi pazientemente di cercarla, con la consapevolezza che questa si realizzerà solo nell’incontro con lo sguardo dello spettatore.
Secondo l’artista, rispetto ai contesti degli interventi pubblici, dove, favorita dalla didascalia come dispositivo attivatore, è l’opera che deve andare verso lo spettatore, nello spazio specialistico dell’arte (il museo, la galleria) è lo spettatore che deve assumersi la responsabilità del proprio sguardo e muoversi nel tentativo di incontrare l’opera. “Il lavoro funziona come una cartina di tornasole – afferma l’artista – l’opera si nasconde nel ventre del museo, svelandone silenziosamente i punti deboli e le retoricità. […] È come se si sviluppasse un processo opposto a quello duchampiano… Penso che oggi, in una società sempre più ubiquia, deterritorializzata, l’opera abbia un gran desiderio di uscire dal museo; ma nel momento in cui essa torna alla realtà perde la propria aura. E allora sono proprio gli spettatori e l’artista stesso, che è il primo vero spettatore, che possono restituire all’opera il suo statuto di arte.” [Hans Ulrich Obrist, “Alberto Garutti”, in Domus #901, marzo 2007, pp. 116-123]
Che cosa succede nelle stanze quando le persone se ne vanno? può essere interpretata come un’evoluzione di Opera per camera da letto presentata all’Hotel Palace di Bologna, nel 1993. Anche in quel caso l’artista era ricorso alla fosforescenza come mezzo per sottrarre l’opera allo sguardo dello spettatore e stimolare un rapporto intimo, “clandestino” con l’opera stessa.